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Che essere alleati non significhi essere amici è cosa nota. Eppure la maggior parte degli studiosi delle relazioni internazionali tende a vedere negli alleati semplicemente stati che collaborano in vista di un fine condiviso e pone l'accento sugli aspetti cooperativi delle alleanze e sulla loro dimensione "esterna": fare fronte a un nemico comune. Dalla lettura della storia diplomatica, tuttavia, si ricavano ben altri spunli. Gli alleati sono spesso divisi da forti elementi di rivalità e si impegnano di frequente in manovre ambigue e complesse, condizionandosi e controllandosi a vicenda, limitando così la reciproca libertà di movimento. Esiste, insomma, una dimensione "interna" delle alleanze tanto importante quanto l'altra, se non persino di più. Se tali aspetti possono essere colti anche nelle alleanze contemporanee - a cominciare dalla Nato -, la scelta dell'autore cade sull'Europa settecentesca. È questo un periodo in cui il gioco diplomatico è particolarmente vivace, e in cui l'assenza di conflitti ideologici e una gestione estremamente centralizzata della politica estera consentono di mettere a fuoco alcune dinamiche degli allineamenti basate prevalentemente sul potere e sull'interesse.