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La peste di Rodi nasce dall-esperienza diretta dell-autore, sopravvissuto alla terribile epidemia di peste che flagellò Rodi tra il 1498 e il 1499. La vivida descrizione delle sofferenze della popolazione, e il nostalgico ricordo della prosperità e dell-eleganza che contraddistinguevano la vita degli abitanti prima della pestilenza, si alternano a considerazioni più generali di carattere morale e parenetico, il cui obiettivo è riportare sulla retta via gli uomini in un periodo in cui le pestilenze venivano attribuite soprattutto all-ira di Dio, scatenata dalle colpe degli uomini. La presa diretta sui fatti, la tendenza moraleggiante e i riferimenti personali, che trasformano Limenitis in un personaggio della sua opera, rendono il testo assai vicino a un moderno reportage giornalistico, il cui compito è trasmettere con immediatezza ai lettori i fatti e gli stati d-animo dei protagonisti. Non meno partecipata è La Presa di Costantinopoli. Qui l-autore non risparmia critiche alle potenze cristiane occidentali e nella caduta di Bisanzio crede di riconoscere, come anche nella Peste, la punizione per i peccati e per la discordia che contraddistingue la condotta dei cristiani, contrapposti alla concordia e all-unità d-intenti degli Ottomani. Nel contempo l-autore invita le potenze occidentali a unirsi in una crociata per fermare l-avanzata dei nemici e restaurare l-antico impero. Su tutti si staglia, nella sua tragicità, la figura del basileus Costantino, l-ultimo imperatore dei greci, cui toccò il terribile destino di vivere la fine dell-impero.