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Quattro prose autobiografiche di rara perfezione. 'Dall'alto degli anni', Luigi Pintor si volta indietro per tentare un bilancio - sapendo che i conti non torneranno - e per 'restituire alle cose una durata che di per sé non hanno'. Ma il passato non si lascia governare dalla memoria, si concede solo in lampi di ricordo o in narrazioni che, sotto l'apparenza della finzione, dicono il vero - il dolore pulsante di un'intera esistenza. Le quattro prose autobiografiche, uscite tra il 1991 e il 2003 e qui ripubblicate a cento anni dalla nascita, non assomigliano a nulla che circoli oggi: custodiscono la loro unicità in una lingua nuda, che non concede ripari né attenuanti, pur velando con estremo pudore nomi, luoghi e date. L'unica forma di irriverenza, secca come un riso amaro, è rivolta all'io narrante - che parli in prima persona o mantenga la distanza di una maschera. La 'fantasia illimitata' del male si è accanita sulla sua vita: gli affetti fulminati, la storia attraversata da combattente, e un'aspirazione giovanile - 'diventare un idiota', nel senso greco del termine, cioè restare in disparte con innocenza - sistematicamente negata. Con un timbro inconfondibile, Pintor affida il racconto a una scrittura ritrosa, scarnificata, che diffida delle parole e delle loro lusinghe, e che sa spingersi sempre oltre i confini dell'innocenza e della speranza. Decine di migliaia di lettori hanno riconosciuto e amato questa conoscenza del dolore, grati a Pintor per non aver ceduto al silenzio cui pure aspirava. Postfazione di Barenghi Riccardo Barenghi.